Benvenuti nel mio mondo fatto di fantasia, creatività, libero pensiero, nel rispetto di tutto e di tutti......divido con voi le mie esperienze, le mie sensazioni e i miei pensieri ......piu' profondi!

Non so se riuscirò o mi sarà concesso di chiudere "il cerchio", "disegnandolo sulla grande tela della vita". So di per certo però, che qualunque cosa accadrà nel mio percorso di vita futura, le parole, i pensieri, i racconti e le riflessioni, qui riposti, rimarranno, spero, come spunto e stimolo di riflessione per chiunque li leggerà.

giovedì 28 maggio 2009

35 - Donna ti voglio cantare

Donna ti voglio cantare

Donna ti voglio cantare
donna la madre,
donna la fine
donna sei roccia,
donna sei sabbia
e a volte nuvola sei...

Donna sei acqua e sei fiamma
donna paura,
donna allegria
donna saggezza,
donna follia
e a volte nuvola sei...

Donna, donna sei l'ombra
donna sei nebbia,
donna sei l'alba
donna,donna di pietra
a volte nuvola sei...

Donna, donna l'amica
donna sei nave,
donna sei terra
donna,donna sei l'aria
e a volte nuvola sei...

Donna sei sete e vendemmia
donna sei polvere,
donna sei pioggia
donna saggezza,
donna folliaa volte nuvola sei...

Donna ti voglio cantare
donna sei luce,
donna sei cenere
donna sei ansia,
donna sei danza
e a volte nuvola sei...

Donna, donna sorgente
Donna sei erba,
donna sei foglia.
Donna, donna sei pietra
e a volte nuvola sei...
Angelo Branduardi

mercoledì 27 maggio 2009

34 - La bella addormentata

La bella addormentata (di Domenico Chieffo)Venosa, l’ultima ora è venuta
ed io sul tacito veron seduto
in solitaria malinconia
ti guardo e lacrimo Venosa mia.

Non più quei fuochi di legna ardenti
che a San Giuseppe ci fan contenti
perché sui muri passa il metano
che, per fortuna, “ci dà una mano”.

Passa un amico per la città
“Ehi, di Venosa che novità?”
“Qui, ogni giorno, qualcosa manca
stiamo innalzando bandiera bianca.

Per noi è autunno, non c’è che dire,
non splende il sole dell’avvenire
questo paese, sotto la luna,
perde le foglie ad una ad una.

Ci siam distratti per un momento:
non c’era più il “Collocamento”,
e Sant’Andrea, tempio ideale,
ha perso il titolo di Cattedrale.

E con finezza, a mo’ di tonsura,
fra un po’ ci privan della Pretura
e se vien meno un po’ d’attenzione
ci troveremo senza stazione.

Grazie alla legge di un certo Ministro
van via “le Imposte”, va via “il Registro”,
e, se non passa ‘sto temporale,
forse perdiamo pur l’Ospedale.

Ora è scomparso, oh che tristezza!
anche l’Ufficio della “monnezza”
montiam la guardia al nostro Castello
se no ci portan via anche quello.

Amico mio, saggio e canuto,
che stai sul tacito veron seduto,
scendi tra noi, dacci una mano,
non si fa nulla sopra un divano.

Diamo ai più giovani qualche speranza
qui l’amor patrio è andato in vacanza
non c’è passione, spento è l’orgoglio
è ben che cresca un po’ d’erba “voglio”!

Fiato alle trombe, diamo uno squillo,
viver non basta d’Orazio e Tansillo
Venosa aspetta d’esser svegliata
sopra “le pietre” s’è addormentata.

Chissà se un giorno un principe azzurro
con un bel bacio, con un sussurro
verrà a svegliarla e a dirle: “Cara,
ti giunge il canto della Fiumara?

Ti giunge il suono delle campane?
Senti il profumo del tuo bel pane?
Ritorni in te l’antica fierezza
d’essere stella di prima grandezza.

Tu sei la terra dei cento leoni,
delle fontane, dei bei largoni,
grandi le mura, grande la storia
ma abbiam bisogno di nuova gloria.

Antiche chiese, bei monumenti,
archi, colonne, pietre splendenti,
ma accanto a questi mille tesori
dovranno nascere nuovi valori.

“Venosa, svegliati! siamo in aprile
tornan le rondini sul campanile
vecchio paese fatti sentire
riaccendi il sole dell’avvenire!”


Venusium 1709

sabato 23 maggio 2009

33 - La Creazione

La Creazione

.......Un po di tempo fa ho seguito un corso bibblico parrocchiale, tenuto allora dal parroco don Filippo Santoliquido ed ero molto preso ed appassionato dalle varie argomentazioni e dalle molteplici tematiche che i libli bibblici presentavano; mi sono trovato a leggere ed approfondire quindi una avvincente recenzione sul I° libro della Bibbia: la Genesi.
In quel periodo mi sono avvalso anche del conforto e dei consigli di due eminenti esperti in materia: il prof. Antonino Zichichi, (noto scienziato, fisico e divulgatore scientifico) e la prof.essa Anna Maria Cenci (scrittrice, editorialista, medico, biblista, spentasi nel febbraio 2006). Il primo ha voluto rispondere ai miei quesiti addirittura in diretta televisiva nella fortunata e famosa trasmissione di RAI 2 "Mattina in famiglia", trasmissione nella quale lui aveva una rubrica domenicale; la seconda mi ha onorato scrivendo personalmente di suo pugno, che qui riporto fedelmente.
Questi i miei quesiti.

.........Alla cortese attenzione
della dott.essa Sig.ra Anna Maria Cenci
Gentile Dott.essa, so che Lei è una grande donna di chiesa del nostro tempo ed una profonda credente, anch'io sono molto credente, con molto piacere io e mia moglie Antonella seguiamo attentamente, quando ci è possibile, i Suoi interventi su Radio Maria.
Mi rivolgo a Lei perchè La ritengo un'esponente molto autorevole del mondo spirituale, teologico e culturale e per questo Le volevo porre un paio di domande riguardanti la Bibbia, perchè a prescindere dal credo religioso e dalle verità contenute nelle Sacre Scritture, ci sono alcune tematiche che necessitano di approfondimento, ad esempio la Creazione del firmamento; infatti una delle domande più frequenti che gli uomini di tutti i tempi si sono poste è quella relativa all'origine dell'universo.
Fatte le dovute premesse, vengo al dunque:"In principio Iddio creò..."Gli studiosi di scienze naturali studiano l'universo, i teologi la rivelazione biblica. Ora se l'universo e la Bibbia provengono entrambe dalla stessa fonte, non v'è ragione per il teologo di temere di confrontarsi con le scienze naturali, perchè entrambe dovrebbero condurre necessariamente a Dio, in quanto Lui è il Creatore dell'universo e allo stesso tempo è Colui che ha ispirato gli scrittori biblici.
Pur tuttavia, molte volte, vi sono profonde contraddizioni tra le affermazioni dei teologi e quelle degli uomini di scienza. C'è da chiedersi perchè ciò avvenga.
La teologia e le scienze naturali sono interpretazioni umane, ricerche ed investigazioni fatte da uomini, che cercano di fare del loro meglio, ma che, essendo limitati in quanto uomini, nel loro modo di comprendere l'universo ed il messaggio biblico possono certamente commettere degli errori.
In questo periodo sto leggendo una recenzione sul I° libro della Bibbia: la Genesi.
La mia attenzione è completamente presa dalla questione della Creazione.
La filosofia greca pensava ad un Dio creatore fuori dal tempo.
Per le Sacre Scritture Dio creò dal nulla "i cieli e la terra", cioè l'universo.
Prima domanda:"In principio Iddio creò..." dal nulla.
Le Sacre Scritture non identificano Dio con l'universo. L'universo non è un'emanazione, ma una creazione di Dio.
L'universo non dovrebbe essere eterno, ma è una realtà creata da Dio "in principio"; allora o la materia, in quanto energia, è eterna o ha avuto un principio. Se ha avuto un principio nasce il problema: da dove proviene?
Il problema dei "giorni" in Genesi 1.
Secondo il racconto bibblico, tutto sarebbe accaduto in una settimana di sei giorni più un giorno di riposo.
So che ci sono diverse scuole di pensiero al riguardo e che da sempre molti filosofi, teologi, pensatori, scienziati ecc... si sono occupati della questione:
Secondo alcuni Padri della Chiesa "i giorni" della Creazione devono essere interpretati in modo allegorico, metaforico, figurativo e non letterale.
S. Agostino insegnava che Dio creò il mondo in un singolo attimo.
Lutero sosteneva che il mondo con tutte le sue creature, fu creato in sei giorni, nel senso letterale delle parole, specificando che intendeva un giorno di 24 ore.
Molti teologi cattolici sono dello stesso parere, altri no.
J. Hutton e C. Lyell interpretano i giorni della Genesi come lunghi periodi di tempo, dando inizio alla teoria "giorno-era".
H. Miller infine, sostiene la teoria che i giorni della creazione siano "giorni di rivelazione", secondo questa interpretazione, Dio non creò il mondo in sei giorni, ma in un periodo indeterminato di tempo.
In sei giorni letterali lo ha solo "rivelato" e spiegato all'uomo.
Seconda domanda: I "giorni" della Genesi come vanno interpretatati ?
Come delle lunghe epoche ("giorno = era")?
Vanno interpretati "letteralmente" in giorni di 24 ore (perchè a Dio tutto è possibile!)?
Va presa in considerazione la teoria della "Rivelazione?
Oppure ci sono altre teorie più accreditate?
Grazie Dottoressa per la sua gentile attenzione e la Sua disponibilità, mi scuso se sono stato lungo nell'esposizione e credo che essendo Lei una donna di fede, mi perdonerà, Le sarei molto grato se vorrà rispondermi e illustrare il Suo pensiero in merito.
La saluto cordialmente -


..............Vincenzo Giaculli - Venosa, 03-03-'02




........Gentile sig. Giaculli
Mi perdoni per il grande ritardo con cui le rispondo.
Io ho pubblicato un libro intitolato: “I sei giorni della creazione”.
...
Voglio dirle cose che certamente lei ha gia pensato.
Ritengo il Signore Dio il creatore dell’universo e quindi anche della nostra piccola grande Terra. Quando le dico questo, voglio dire che se al posto della parola “Dio”, io dicessi: ritengo che una Intelligenza potentissima e sapientissima ha creato l’universo, non cambierebbe nulla.
La Sacra Scrittura è detta anche Rivelazione.
San Giacomo nella sua unica lettera (nelle ultime pagine della Bibbia) chiama Dio : “il Padre degli astri luminosi”. E’ una frasettina che ci toglie il respiro se pensiamo agli innumerevoli corpi celesti che sono nell’universo nel quale, gli scienziati non vedono i confini…
Credo che se saremo degni di avere la vita eterna, avremo tutto il tempo per conoscere i misteri gaudiosi dai quali siamo circondati e nei quali siamo immersi.
Così ho deciso di attenermi a quanto è rivelato nella Bibbia e di trovare pace nel mio spirito.
Ho la certezza che Dio non ha bisogno di tempi lunghi per creare qualsiasi realtà. E’ scritto: “Egli disse e la cosa fu”!
E’ in quel “disse” è il mistero di tutte le cose.

Ho detto più volte, anche a Radio Maria, che il “lavoro”, per dir così inimmaginabile di Dio è stata proprio l’invenzione di ogni realtà.
L’idea dell’albero, della roccia, dell’acqua, della terra e di ogni essere vivente, con tutti gli organi vitali che lo compongono, è nata nella sua mente ed è qualcosa di così meraviglioso, di così grande che non si trovano parole per definirlo.
Ma non è poi importante trovare delle definizioni.
E’ già una grazia che la nostra mente possa giungere a considerare queste cose. Ci sono molte menti che non giungono mai a considerarle e non pensano mai a ciò che Dio ha creato e fatto sussistere. E anche questo non è facile da capire.
Comunque ringraziamo il Signore della capacità che ci ha dato di pensare e, soprattutto di pensare a Lui!
Questa è già una cosa bellissima, signor Vincenzo, e forse un segno di predilezione divina.
Quando San Paolo fu rapito in paradiso (v. 2 Cor.12,4) e poi ritornò sulla Terra (egli dice:” se fu col corpo o senza il corpo non lo so Dio lo sa”) e dice anche che non è possibile all’uomo riferire ciò che vi è lassù. Così bisogna restare nell’umiltà e nella pazienza.
Qualunque concettura possiamo fare, adesso, sull’origine del mondo (anzi, dell’universo) potrebbe essere sbagliata.
Adoriamo Dio nel silenzio della mente e del cuore.
Che Dio la benedica con la sua cara consorte!
Anna Maria



32 - Quando parlano le pietre

Quando parlano le pietre

Le rovine rappresentano l'opera del tempo e la memoria degli uomini.
Le pietre ci invitano a compiere un viaggio tra le vestigia di tutto un mondo molto lontano ma sempre presente, un mondo silenzioso, nascosto ed a volte misterioso, per rivelarne insieme oltre alla storia, alla poesia e alla bellezza anche il significato.

E’ bello delineare un percorso e tracciare un itinerario attraverso le grandi culture che si sono avvicendate nel corso dei secoli e attraverso gli antichi siti che hanno popolato nel tempo i sogni dei poeti e affascinato architetti, scultori, scalpellini, artisti, musici e scrittori di epoche diverse: dalla preistoria all’antica Grecia, dalla Roma imperiale al medioevo, dal rinascimento fino ai giorni nostri, sconvolti dalle ultime due guerre mondiali, passando quindi per l'impero romano, ripercorrendo i luoghi simbolo dell'evangelizzazione e della cristianità con manufatti come templi, fortezze, chiese ed edifici che raccontano la storia di ognuno.
Ora che molte di queste pietre hanno fatto ritorno alla luce e al loro primitivo splendore, esse liberano il loro spirito, nel silenzio e nella luce.
E’ bello sentire l’ebbrezza del vissuto dove le emozioni sono condivisibili, e i sogni diventano “tangibili”, dove sembra che il tempo non sia mai passato …insomma: un vero e proprio viaggio nel tempo.

Ogni edificio potrebbe raccontare la sua storia, ma gli uomini non li ascoltano, lo abitano.
Quando però il suo spirito emerge, allora l’uomo riesce a sentire…”.


Ogni costruzione, infatti, finché rimane in piedi è prigioniera del suo dovere, celebrativo o funzionale che sia.
Quando invece inizia la decadenza ogni costruzione si libera della sua servitù e inizia a raccontarsi attraverso le sue crepe.
Un viaggio nelle culture e nel tempo, ma forse è più corretto definirlo: un viaggio “senza tempo”. La “stratificazione della storia” è infatti un privilegio tangibile per chi vive in questa città, ricca di luoghi dove il passato e il presente si fondono, creando atmosfere irripetibili altrove.
è uno di questi siti che predispongono a questo la mente, gli occhi, e il cuore. Un esempio ideale di cultura e bellezza:
E’ un privilegio che in questo paese ci sia tanta bellezza, manca però una consapevolezza: bisogna difenderla la bellezza, dall’ignoranza, dal degrado, dall’incuria, perché è un bene inestimabile, e un diritto poterne usufruire tutti, liberamente, con gioia e rispetto.
Chi cerca trova: il "dejavù" e le pietre che parlano

E’ il fenomeno del “dejavu”. Ci credo: credo fermamente che esista qualcosa che vada aldilà di tutte le realtà materiali e temporali, che ci collega con un infinito, un passato che continua nel presente e nel futuro, e in modo tangibile.

In una città come Venosa, quest’impressione è empiricamente dimostrabile: chi vive qui ha il privilegio di poter toccare con mano il passato.

Basta semplicemente sfiorare una pietra antica, l’androne di un palazzo che conservi resti di qualche casa romana, un pezzo di colonna che affiora da qualche chiesa, costruita sopra qualche tempio. Provate a farlo, e a chiudere gli occhi: le pietre parlano, ci raccontano cose, ci trasportano come una macchina del tempo, basta sapere ascoltare.


Malgrado tutti i paradossi e le contraddizioni della nostra cittadina, per me è un privilegio vivere qui, malgrado il problemi di tutti i giorni, la viabilità disastrata, il disinteresse e l’apatia politica, la maleducazione, la barbarie ed il vandalismo metropolitano e l’incuria quasi imperante nei nostri parchi meravigliosi, che meriterebbero maggior attenzione anziché languire nell’abbandono fra cartacce, escrementi e bottiglie di birra: basta pensare alle vie del Parco Archeologico, un tempo attraversate al galoppo da eserciti invincibili, dalle corti degli imperatori, come la famosa Via Appia.
Eppure malgrado tutto, questa città-museo a cielo aperto, esercita un fascino ineguagliabile sui residenti e sui stranieri.
“Di questa città mi affascina la stratificazione della storia.

Qui si può davvero toccare con mano, dalla preistoria al medioevo, dal rinascimento al barocco, fino ai tempi moderni, e persino certa architettura fascista ha un suo fascino, un suo significato nella storia dell’arte”.

Comunque è vero. Si perdono tante cose nella vita: occhiali, ombrelli, penne, chiavi di casa….ma c’è una cosa che non si potrà perdere mai: la nostra storia, quella che ci dà l’orientamento in questo mondo, e in questa epoca difficile e un po’ oscura.
Basterebbe guardarsi attorno, riempirsi gli occhi con bellezza dei nostri siti e soprattutto fermarsi, ad ascoltare le pietre. Una storia che si vede, che si tocca, che può dare a tutti coraggio, forza e l’orgoglio necessario per andare avanti: non dimentichiamoci che per capire chi siamo e dove andiamo dobbiamo sapere da dove veniamo.





La storia siamo noi.

giovedì 21 maggio 2009

31 - Se tu sei cielo

Se Tu Sei Cielo :

Se tu sei cielo

è a te che tornerò

e sul tuo seno

le ali piegherò...

Per il mio sonno sei notte

e sole al mattino

e tiepida pioggia

sulla terra che ho.

Se tu sei vento

vento di mare...

prima tempesta

e poi riparo.

Il tuo passo leggero

mi segue sulla via,

sei tu che cammini

sulla terra che ho.

Se tu sei tempo

con me tu passerai,

bella stagione,

profumo mi darai...

e vendemmia per noi

L'autunno che verrà,

poi le foglie cadranno

sulla terra che ho.

Ma tu sei cielo

e a te io tornerò

e del tuo seno

il nido mi farò...

Sei la strada accogliente

che il mio passo sa già

e sei vento, sei tempo,

sei la terra che ho.

...........................Angelo Branduardi.....................

lunedì 18 maggio 2009

30 - Camm'nann pu pajeise

CAMM'NANN PU PAJEISE (di Antonio Filidoro)

Tra stràde e strett'l du pajeise meje,
addó ogni prete tene na storije,
tra fatt passàte e p'nzire d' fantaseje
m' n' vache a la scupert d' la m'morije.
Da u subbuglie d' la veita cittadeine,
èje, paisane mizz fr'stire e p'nziunate,
p' na r'mpatriaíte d' veita g'nueine
so' v'noute au pajeise addò so’ nate.

Tutt i jurn p' Sand'Andreje, la Chiazzodd e la Chiazza Nova
m' n' ‘nghiangh facenn tutt la via nova,
po’ vache p’ rr suppind e la fundàne
fin’ a mond au nuve riòne
e tra la gend d’ vecchie e nova g’nerazióne
m’ gode tutta la veita paisane.
Scenne attòrn au pajeise, m'aggeire
pu Massaróne, San Giuuann, Santa Mareje,
e scenn scenn jè tutt nu r'speire
d' veita sempl'ce e d'armuneje.
Spéss me n' vache pu Gravattòne
o p' rr strett'l d- Sand N'cole
addò u prugress ha purtate la telev'sióne
ma s' camb ancóre ind na camera sole,
e jè nu piacere custatà
ca ind a quere strett'l, proprie ddà
la famiglije jè ancore famigiije
e la truve dréte na mezza port
ca s' spart ru pane e s' cuns'glije
e ch' d'core la m'serije s' support...
Vacanz d'aúst d' piacevule jurnàte
passate lundane da la veita c'ttadeine
fatta d' stravìzie e d' famiglie d'sastràte,
jè nu piacere camhà 'mmizz a la gend g'nueine!
Acch'ssé, scenn scenn a la scupert d' la memorie
m' n'addone ca u futoure d' la storije
jè proprije dda, 'mmizz au popule sane
d' la sempl'ce veita paisàne.


CAMMINANDO PER IL PAESE
Tra strade e vicoli del mio paese, dove ogni pietra ha una storia, tra fatti passati e pensieri di fantasia, me ne vado alla scoperta della memoria.

Dal subbuglio della vita cittadina io, paesano mezzo forestiero e ormai pensionato, per una rimpatriata di vita genuina sono venuto al paese dove son nato.

Tutti i giorni, per Sant'Andrea(1), la Piazzetta(2) e la Piazza Nuova(3) me ne salgo attraversando tutto il corso; poi vado per i portici(4) e la fontana(5) fino al nuovo rione(6) e tra la gente di vecchia e nuova generazione, mi godo tutta la vita paesana.




Andando in giro per il paese, per il Massarone(7), San Giovanni(8) e Santa Maria(9), in giro è tutto un respiro di vita semplice e d'armonia.
Spesso me ne vado per il Gravatone(10) o per i vicoletti di San Nicola(11), dove i1 progresso ha portato la televisione, ma dove la gente vive ancora in una sola stanza ed è un piacere constatare che entro quei vicoli, proprio lì la famiglia è ancora famiglia e la trovi dietro una mezza porta che si divide il pane e si consiglia e con decoro si sopporta la miseria.
Vacanze di piacevoli giornate di agosto, passate lontane dalla vita cittadina, fatta di stravizi e di famiglie disastrate: è un piacere vivere in mezzo alla gente genuina!
Così, andando alla scoperta della memoria, me ne accorgo che il futuro della storia è proprio lì, in mezzo al popolo sano della semplice vita paesana.


(1)- La Cattedrale
(2)- Fontana medievale di Messer Oto
(3)- Piazza Orazio
(4)- Piazza Castello
(5)- Fontana Angioina in piazza castello
(6)- Piazza Dante
(7)- Quartiere del centro storico al termine di via Garibaldi
(8)- Quartiere del centro storico alla metà di via Garibaldi
(9)- Piazza Ninni
(10)- Quartiere medievale del centro storico a sud-est della città
(11)- Quartiere medievale del centro storico nei pressi di via Roma

sabato 16 maggio 2009

29 - Quando ti chiedi cos'è l'amore

Quando ti chiedi cos'è l'amore,
immagina due mani ardenti
che si incontrano,
due sguardi perduti l'uno nell'altro,
due cuori che tremano
di fronte all'immensità
di un sentimento,
e poche parole
per rendere eterno un istante.
~ Alan Douar ~

venerdì 15 maggio 2009

28 - L' immagine di Dio

Le immagini di Dio e la fede cristiana

«Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza» (Card. JOSEPH RATZINGER, Introduzione al Compendio, 2005).

Le immagini facilitano l’accesso, la comprensione e la trasmissione di contenuti a persone appartenenti a lingue, età e culture diverse: sono facilmente leggibili e, pertanto, rispetto alla parola e allo scritto, raggiungono un maggior numero di persone. Questo è stato l’elemento unificante che ha portato committenti e artisti di tutte le epoche a privilegiare l’aspetto iconografico nella trasmissione del sapere, compreso quello religioso, che nella sua funzione didattica ha arricchito di bellissime immagini le già splendide architetture delle chiese.

Su quali fondamenti si basano le immagini religiose?
Le immagini religiose hanno vari fondamenti complementari:

Fondamento antropologico:

In quanto essere unitario, e cioè costituito di corpo e anima, l’uomo si esprime attraverso segni, parole, gesti, simboli. Egli percepisce le stesse realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. Dante nel Paradiso (Canto 4, versi 42-46) afferma che l’intelletto non può afferrare la vera natura di Dio senza l’uso dei sensi.
«Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio» (CCC, 1146).

Fondamento sociologico
1) In quanto essere sociale, bisognoso e desideroso di relazionarsi agli altri, l’uomo ha bisogno di comunicare con gli altri, e lo fa per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni, di immagini.
2) Per di più oggi viviamo in un mondo particolarmente attento alle immagini, le quali hanno un ruolo particolarmente rilevante nella vita della persona e della società. Non per nulla si parla di civiltà dell’immagine per indicare la società attuale, ed è il motivo per cui, oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra può “esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio del CCC).







Fondamento teologico:
1) Esiste una stretta relazione tra il mondo creato e Dio il suo creatore. Il mondo, nella visione cristiana, infatti è stato creato da Dio, che ha voluto così manifestare e comunicare la sua bontà, verità e bellezza. Pertanto Dio parla all’uomo attraverso la creazione visibile, la quale è un riflesso, sia pure limitato, dell’infinita perfezione di Dio. Il fine ultimo della creazione è che Dio, in Cristo, possa essere “tutto in tutti” (1Cor 15,28), per la sua gloria e per la nostra felicità» (Compendio, 53). «Ogni cosa deve la propria esistenza a Dio, dal quale riceve la propria bontà e perfezione, le proprie leggi e il proprio posto nell’universo» (Compendio, 62).
2) L’uomo è stato creato a immagine di Dio. L’uomo stesso è il simulacro di Dio. E dunque per conoscere Dio, l’uomo ha a disposizione se stesso: conoscendo maggiormente se stesso nel suo essere immagine di Dio e nel suo agire conformemente a tale immagine, conosce maggiormente Dio. E nello stesso tempo, è anche altrettanto vero che conoscendo Dio nel suo essere e nelle sue opere, l’uomo conosce maggiormente anche se stesso.
3) Dio si è reso visibile in Gesù Cristo. Essendo Egli il Figlio Unigenito di Dio, unito intimamente a Dio Padre - “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Egli ci fa conoscere in maniera piena, perfetta e definitiva Dio Padre: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9). Gesù Cristo è l’Immagine perfetta visibile del Dio invisibile.
“Un tempo, Dio, non avendo né corpo né figura, non poteva in alcun modo essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho visto di Dio” (San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus oratio, 1, 16: PTS 17, 89 e 92). Dunque l’Incarnazione di Cristo giustifica nel cristianesimo il realizzare, il possedere, il venerare le immagini religiose.



Gesù ha utilizzato segni e simboli umani per esprimere il divino?

Gesù, oltre che essere Egli stesso Colui nel quale si rende presente e visibile Dio, si serve spesso, nel suo predicare e operare qui sulla terra duemila anni fa, delle realtà provenienti dalla creazione per far conoscere, annunciare e comunicare i misteri del regno di Dio. Si pensi anche solo al significato simbolico delle sue parabole e dei suoi miracoli. Cristo inoltre ha utilizzato elementi e segni provenienti dal mondo per istituire i Sacramenti della Chiesa.

L’immagine umana è limitata rispetto al divino
Certamente occorre ricordare che qualunque immagine materiale non potrà mai esprimere pienamente l’ineffabile mistero di Dio: la realtà significata (religiosa, spirituale) supera sempre l’immagine umana. Tuttavia qualcosa di questo mistero l’elemento materiale lo fa realmente intuire e percepire.

E nello stesso tempo ci offre un anticipo della trasfigurazione che, alla fine di tutti i tempi, il mondo intero riceverà da Dio. Gli aspetti profani, nel momento in cui diventano veicolo di trasmissione di contenuti religiosi, vengono sì colti e rappresentati nei loro aspetti positivi; ma nello stesso tempo hanno bisogno di essere purificati, e soprattutto di essere arricchiti e completati. E ciò avviene con i contenuti cristiani, che le immagini contengono e trasmettono. In tal senso anche le mitologie e le favole popolari sono assunte, purificate e trasfigurate dalla Fede cristiana, per diventare immagini religiose.

Quale scopo hanno le immagini religiose, i santini?

Le immagini religiose:
1) facilitano l’accesso, la comprensione e la trasmissione di contenuti a persone appartenenti a lingue, età e culture diverse: sono facilmente leggibili e, pertanto, rispetto alla parola e allo scritto, raggiungono un maggior numero di persone.
2) Se viste, capite, interpretate, gustate con la visione particolare che proviene dalla Fede cristiana è possibile allora cogliere il particolare messaggio catechistico, che gli artisti hanno voluto trasmettere con le immagini religios












In che senso le immagini hanno una finalità catechistica?
Poiché esiste una stretta correlazione tra l’immagine e il simbolo, e tra il mondo visibile e quello invisibile, diventa logico e giustificato l’annunciare il mistero di Dio servendosi di immagini simboliche. Si comprende così il fiorire, lungo i secoli, dell’iconografia cristiana, dove l’intento evangelizzante e catechistico s’accompagna, anzi s’intreccia strettamente con l’aspetto pittorico ed estetico.

Attraverso l’immagine si vuol trascrivere il messaggio evangelico, che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la Parola. “Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio del CCC).
Anzi la storia ci insegna che i cristiani, per annunciare il messaggio evangelico e catechizzare le persone, si sono serviti in una maniera speciale della cosiddetta Biblia pauperum, e cioè delle immagini, dei catechismi visivi, catechismi fatti di immagini e di rappresentazioni iconografiche, prima ancora dei catechismi scritti.

“Immagine e parola s’illuminano così a vicenda".
L’arte «parla» sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis. Mentre testimoniano la secolare e feconda tradizione dell’arte cristiana, sollecitano tutti, credenti e non, alla scoperta e alla contemplazione del fascino inesauribile del mistero della Redenzione, dando sempre nuovo impulso al vivace processo della sua inculturazione nel tempo” (Papa Benedetto XVI, Discorso di presentazione del Compendio alla Chiesa e al mondo, 28-6-05). Sono una forma particolare di catechesi popolare, libri aperti senza parole per tutti, un ponte tra il fedele e il mistero, mentre adornano, decorano gli spazi sacri, rendendolo più accoglienti e invitanti alla preghiera.


Le immagini religiose in che rapporto stanno con Cristo?
Nell’iconografia cristiana tutte le immagini hanno come finalità principale quella di annunciare la persona, il messaggio, l’opera di Cristo, essendo Lui il Rivelatore perfetto di Dio Padre e il Salvatore unico e definitivo dell’uomo e del mondo. “L’immagine di Cristo è l’icona per eccellenza. Le altre, che rappresentano la Madonna e i Santi, significano Cristo, che in loro è glorificato” (Compendio, n. 240), e, annunciando Cristo, aiutano a far nascere e crescere la fede e l’amore verso di Lui. Venerare i Santi significa riconoscere che Dio è la fonte, il centro e il culmine della loro santità: i Santi hanno accolto, con l’aiuto dello Spirito Santo, la santità di Dio nella fede e a tale santità divina hanno docilmente corrisposto con una vita santa, seguendo e imitando Cristo, l’immagine per eccellenza del Dio invisibile.

I santini della Pasqua sono in particolare collegati con l’evento principale della vita del Cristo, nonchè il pilastro fondamentale della nostra fede: la Sua Morte e Risurrezione. Ci aiutano quindi a comprendere meglio i vari e complementari momenti di tale evento, cogliendone il significato profondo salvifico, per noi e per l’intera umanità.

Chi veneriamo nell’immagine?
Il cristiano venera:
1) non l’immagine in se stessa, la quale è semplicemente un oggetto materiale (una statua, un’immagine, un simbolo, un amuleto): se si venerasse l’oggetto, si cadrebbe nell’idolatria;
2) ma colui che l’immagine intende rappresentare, la ‘Persona’ che le immagini riproducono: Gesù Cristo, la Madonna, i Santi. ( Il mio papà mi diceva: “avendo in casa una foto dei nostri cari defunti ne manteniamo il loro ricordo e il ricordo di ciò che hanno fatto di buono per noi; questo vuol dire che la foto li rappresenta” - Saggezza contadina).In effetti, “l’onore reso ad un’immagine appartiene a chi vi è rappresentato” e “chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto” (San Basilio Magno, Liber de Spiritu Sancto, 18, 45: SC 17bis, 406). L’onore tributato alle sacre immagini è una “venerazione rispettosa”, non un’adorazione che conviene solo a Dio: “Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse, ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si volge all’immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende alla realtà che essa rappresenta” (San Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 81, a. 3, ad 3).

Le immagini sono anche un invito alla preghiera?
Certamente. L’arte e l’iconografia cristiana, oltre che essere strumenti al servizio dell’evangelizzazione e della catechesi, sono sempre stati e lo sono tutt’ora anche un invito alla preghiera: “La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. È una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna apre il mio cuore a rendere gloria a Dio” (San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus oratio 1, 47). La contemplazione delle sacre immagini, unita all’ascolto della Parola di Dio, aiuta a imprimere nella memoria del cuore il mistero che viene percepito, sollecitando a trasformarlo in preghiera e a testimoniarlo in quella novità di vita, che proviene dalla Fede cristiana e che ha il suo centro in Cristo.

mercoledì 13 maggio 2009

27 - “VAE VICTIS”

1860 - 1870: il brigantaggio lucanoIl "vae victis" - "Guai ai vinti" di Brenna non è soltanto un aneddoto storico, è una costante nella storia dell'umanità. I vinti passeranno alla storia sempre e soltanto attraverso le pagine scritti dai vincitori e dovranno sempre giustificare il perché si siano battuti "per la parte sbagliata".

Questa è una storia capitatomi casualmente tra le mani. Una storia che nessuno conosce. Una storia mai scritta, una storia che parla di un tragico episodio accaduto subito dopo l’unità d’Italia,
un drammatico fatto accaduto a Venosa (PZ) un episodio mai comparso e menzionato in nessun libro di storia, ma che ora voglio raccontare.

Nel 1861 tre fratelli di Venosa si rifiutarono di arruolarsi o di prestare servizio militare, divenuto ormai obbligatorio, tra le fila del neo esercito italiano, per non essere arrestati come disertori si diedero alla macchia, si rifugiarono nei boschi, diventando così “briganti”, aggregandosi alla banda del “famigerato” brigante Crocco, al secolo Carmine Donatelli, originario di Rionero, il quale alla testa di alcune centinaia di uomini, dominava la zona della Basilicata e del Melfese.
Le bande dei briganti, imbracciando armi di ogni sorta, attrezzi agricoli e vecchi fucili, si fecero sempre più numerose e agguerrite e quindi sempre più pericolose.

All’alba del 21 gennaio, festa di S. Agnese, a pochi passi da Venosa, i soldati tennero un’imboscata ad una delle bande del Crocco ed i tre fratelli furono trucidati. Portati in città i loro corpi furono esibiti ed esposti come trofei al centro della piazza, a monito di quanti avevano ancora delle idee di ribellione. A ricordo di questa storia gli (*)Stormy Six nel loro albun del 1972 hanno proposto una canzone: "I tre fratelli di Venosa", appunto.


Il 7 aprile del 1861 i "briganti" escono dai boschi del Vulture e di Lagopesole, si uniscono ai contadini dei latifondi del principe Doria e, adorni delle coccarde rosse della rivolta contadina e di lenzuoli bianchi (vessilli borbonici), ne invadono le terre. Centinaia di donne e di bambini li precedono. Imbracciano armi rudimentali come bastoni e forche, poi arrivano gli uomini, armati di vanghe, attrezzi agricoli e vecchi fucili, si scagliano contro l’esercito piemontese.


Molte volte mi sono chiesto il motivo di tanta ostilità nei confronti del governo piemontese. Perché la gente preferiva fuggire nei boschi e vivere clandestinamente piuttosto che vivere nelle loro case. Voglio proporre una breve analisi della situazione socio-economica e politica di quegli anni, prima e dopo l’unità d’Italia.

Il vecchio regime borbonico era caduto per l'iniziativa garibaldina di tipo rivoluzionario che aveva alimentato nelle masse meridionali concrete speranze di un radicale rinnovamento della società locale, ma il nuovo governo che nel 1861 prese le redini del potere era l'espressione della borghesia, quella Destra storica che affrontò la questione meridionale con un patto di alleanza fra i ricchi possidenti del Nord e i proprietari terrieri del Sud, eludendo la promessa della tanto agognata riforma agraria che doveva destinare la terra ai contadini.

Brigante, si dice bonariamente di un individuo dall'elasticità morale comprovata che non esita per il proprio tornaconto a ricorrere a furberie di ogni genere pur di condurre l'acqua al suo mulino. Il termine, attualmente usato soprattutto per stigmatizzare la condotta riprovevole di una persona in campo sentimentale, nel secolo scorso indicava l'appartenenza a una delle numerose bande che, in un arco temporale ristretto, dal 1860 al 1865, imperversarono nel Sud dell'Italia dando vita a quel fenomeno dalle implicazioni sociali e politiche classificato dagli storici sotto l'etichetta di "Brigantaggio meridionale".

Ma chi erano i briganti?
Gruppi di malfattori riuniti in una zona delimitata e disciplinati sotto l'autorità di un capo che attentavano con le armi in pugno alle persone e alle proprietà. Razziatori, ladri, delinquenti o, come si direbbe oggi, tutti coloro che agendo al di fuori della legalità appartengono alla cosiddetta malavita organizzata. Ma anche se i metodi e le "imprese" non differivano da quelli della delinquenza comune, la connessione finiva lì. Il brigantaggio, infatti, a cominciare dalla sua durata che si manifestava per poi estinguersi in un periodo di tempo definito, si è sempre discostato, almeno per le cause da cui trae origine, dal banditismo fine a se stesso ed è sempre stato l'espressione di un profondo disagio socio-economico.

I briganti, ovviamente, godevano dell'incondizionata simpatia delle masse rurali che li identificavano alla stregua di veri e propri eroi, una specie di ottocenteschi Robin Hood paladini di una Dea Giustizia che brandiva la spada contro i soprusi dei ricchi e il pericolo costituito dalle autoritarie imposizioni del nuovo padrone, il Regno d'Italia.

Forti degli appoggi tangibili forniti dalla corrente reazionaria borbonica e a volte addirittura da quegli stessi proprietari terrieri che essi depredavano, ma che avevano accolto con sospetto l'arrivo della dominazione sabauda, i fuorilegge potevano contare anche sull'aiuto della Chiesa
In virtù di quella ufficiosa connivenza i briganti potevano trovare riparo nei conventi e sfuggire alla cattura nel caso in cui la loro sortita contro le truppe regolari si fosse risolta in un frettoloso ripiegamento.

La situazione politico-economica delle Due Sicilie

Gli eventi del 1860-61 (dopo un susseguirsi di occupazioni violente: dai barbari ai normanni, agli svevi, agli angioini e agli aragonesi) vennero accolti dalla popolazione come un ennesimo episodio di sopraffazione e di assoggettamento: il governo piemontese appariva, in definitiva, un altro usurpatore. Quando vennero chiamati a votare per il plebiscito di annessione al Piemonte, molti credettero veramente di andare verso la libertà.Ma poi l'egoismo e l'arroganza dei padroni (subito passati dall'altra parte per "tenere tutto") legittimarono non solo la nuova amministrazione statale, ma si arricchirono ancora di più quando ci furono le vendite dei beni della Chiesa e del Demanio.
Le strutture politiche ed amministrative del Regno erano ormai decrepite; l'economia delle zone interne ferma; le strade poche ed inadeguate; le libertà personali e politiche erano inesistenti e la polizia potentissima e vessatoria; la situazione sociale era precaria per la povertà dei contadini e l'arretratezza del sistema agrario. Le riforme agrarie promosse dai Borbone erano state boicottate e, negli effetti, ridimensionate da una potentissima aristocrazia terriera, rapace ed inefficiente, attaccatissima ai propri privilegi, tanto da passare immediatamente dalla parte dei nuovi padroni, i Savoia, pur di conservarli. Tutto ciò era aggravato dalle scarse qualità politiche degli uomini che circondavano il Re.

La situazione politico-economica del governo sabaudo

Nel 1860, alla caduta del regime borbonico sconfitto dall'esercito dei volontari garibaldini, il Meridione veniva annesso di fatto agli altri Stati già sotto il dominio di Casa Savoia e si presentò all'appuntamento unitario in condizioni di profonda arretratezza e di grande squilibrio sociale. Nella vasta zona dello Stato pre-unitario popolata da oltre 7.000.000 di abitanti, quasi un terzo della popolazione globale italiana dell'epoca, la distribuzione della ricchezza che traeva la sua unica fonte dalla produzione agricola era iniquamente spartita fra un ristrettissimo numero di latifondisti mentre la massa di braccianti agricoli era ridotta alla fame. Le premesse per una rivolta popolare erano già nell'aria fomentate dalla propaganda borbonica che incitava le masse dei diseredati a considerare i conquistatori piemontesi come il nuovo nemico da combattere e nell'autunno del 1860 una violenta guerriglia sfociò in tutta la parte continentale dell'ex Regno delle due Sicilie, con una diffusione massiccia nell'area compresa tra l'Irpinia, la Basilicata, il Casertano e la Puglia. Capitanati da ex braccianti, disertori, ex soldati borbonici e garibaldini, decine di migliaia di ribelli si diedero alla macchia rifugiandosi nelle zone montuose più impervie e inaccessibili per dare inizio a una guerriglia condotta su un duplice fronte, quello delle incursioni per razziare e depredare i ricchi proprietari terrieri, e quello sul piano squisitamente militare contro l'esercito piemontese.
La realtà apparve ben presto in tutte le sue sfaccettature negative per il popolino: le strutture economiche e sociali rimasero immutate mentre faceva capolino un nuovo nemico agli occhi delle masse di diseredati. Lo Stato forte dell'Italia unificata imponeva una rigida centralità amministrativa introducendo pesanti balzelli che andavano a gravare sul capo dei più deboli, l'insopportabile ingerenza dei prefetti di polizia e la norma della ferma militare obbligatoria, particolarmente invisa alle popolazioni povere del Sud. A tutto ciò andava aggiunta l'incapacità da parte della Destra conservatrice di affrontare la questione del Mezzogiorno focalizzando come esigenza primaria la questione sociale che fu invece la vera molla scatenante dell'esplosione di quel gravissimo fenomeno di rivolta popolare noto come brigantaggio meridionale.

Il fenomeno del brigantaggio


Si calcola che le bande di briganti siano state oltre 350 e che schierarono in campo decine di migliaia di ribelli "prelevati" con la persuasione o con la forza dall'immenso serbatoio delle masse contadine. Le "formazioni" erano comandate da capi dal nome leggendario come Crocco, La Gala, Pasquale Romano, Caruso, Luigi Alonzi, Gaetano Manzo, Tranchella.
Crocco, al secolo Carmine Donatelli, era originario di Rionero e dominava la zona della Basilicata e del Melfese. Si diede alla macchia nei boschi del Vulture seguito da un manipolo di compagni di sventura e divenne un temuto fuorilegge. Le sue file ben presto si ingrossarono e Crocco si mise a disposizione dei reazionari borbonici da cui ricevette assistenza e sovvenzioni. La sua banda nutrita e compatta impegnò in durissimi scontri le truppe regolari piemontesi.
Fin dai primi mesi del 1860, il fenomeno del brigantaggio assunse dimensioni dilaganti e costrinse i piemontesi a portare il numero dei soldati nel Sud. La lotta armata fra briganti meridionali e truppe dell'esercito regolare in cinque anni fece un'ecatombe di vittime assumendo le proporzioni di una guerra civile.
Occorsero misure severissime di pubblica sicurezza per stroncare definitivamente il brigantaggio e fu determinante al riguardo la "Legge Pica" del 15 agosto 1863, che sottopose alla giurisdizione militare le zone di maggiore attività dei banditi. Venne proclamato lo stato d'assedio, con rastrellamenti di renitenti alla leva, di sospetti, di evasi e pregiudicati. Le rappresaglie furono atroci e sanguinose da entrambe le parti e spesso le masse furono coinvolte loro malgrado negli scontri pagando con la distruzione di interi villaggi e le fucilazioni senza processo di centinaia di contadini ritenuti a torto fiancheggiatori dei briganti.
I briganti in realtà chi sono?
Gli stessi storici sono stati costretti ad ammettere che la tanto vituperata "ferocia sanguinaria" dei cosiddetti briganti è dovuta alle piccole bande di malfattori, che vivono come parassite ai margini delle grandi bande legittimiste. Formate per lo più da delinquenti comuni, approfittano del caos di quei tempi burrascosi per meglio perpetrare i loro delitti, ammantandoli di una falsa coloritura politica.Le razzie, i saccheggi, le uccisioni e i sequestri compiuti anche dalle bande legittimiste rispondono quasi sempre alle tragiche necessità della guerriglia e dell'autofinanziamento. Il segreto del successo per cui i ribelli tengono per così lungo tempo in scacco notevoli forze avversarie sta nella perfetta conoscenza del terreno, nella loro straordinaria mobilità, nella copertura, che spesso rasenta la complicità, delle popolazioni. Non solo le montagne e i boschi della Lucania, luoghi naturalmente elettivi per ogni forma di guerriglia, sono teatro delle loro gesta. Anche in campo aperto, come le vasti distese della Puglia, i legittimisti dimostrano un buona padronanza della tattica militare, tanto da impegnare in combattimenti frontali interi reparti della cavalleria sabauda.

I briganti, quindi, non furono "criminali comuni", come pensò la maggioranza degli italiani, ma un esercito di ribelli che, all'infuori della violenza privata, non conoscevano altra forma di lotta. Tenuti per secoli nell'ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e non riuscivano ad immaginare alcuna prospettiva di cambiamento attraverso i mezzi legali. Questa sfiducia in ogni forma di protesta e di lotta organizzata fu il nucleo della vera "Questione meridionale". L'esteso fenomeno del brigantaggio ne fu solo una drammatica conseguenza.
Lo Stato italiano rispose con una vera e propria guerra a questa rivolta sociale che, nelle sue manifestazioni ampie, durò oltre quattro anni: alle truppe già stanziate nel Sud al comando del generale Cialdini, il governo ne aggiunse altre, cosicché, nel 1863 ben 120.000 soldati erano impegnati nella lotta al brigantaggio: quasi la metà dell'esercito italiano (il che significa che non erano quattro balordi ma un popolo!)
Nello stesso anno venne dichiarata la legge marziale: processi sommari fucilazioni, incendi e saccheggi furono gli strumenti impiegati da Cialdini nell'opera di repressione, non solo contro i briganti, ma contro tutti i loro fiancheggiatori. Migliaia di morti in scontri armati e altrettante pene capitali o alla prigione a vita furono il tragico bilancio finale. Nel 1865 il brigantaggio era stato praticamente sconfitto. Lo stato aveva vinto la sua guerra, ma compiendo proprio gli errori che Cavour aveva cercato di scongiurare. Dopo la repressione e la legge marziale, la frattura tra il Sud ed il resto dell'Italia non fece che approfondirsi.Le classi povere, soprattutto contadine, immaginarono spesso i briganti come degli eroi popolari e anche nella stampa dell'epoca furono proposte figure di briganti "buoni".

Reclutamento nel regno borbonico

L'Esercito Borbonico si alimentava normalmente con la leva. Inoltre arruolava volontari provenienti sia dalla vita civile che fra i soldati a fine ferma.Era previsto che i coscritti prestassero cinque anni di servizio attivo e poi cinque anni nella riserva, alle proprie case, con l'obbligo di ripresentarsi alle armi in caso di bisogno. Il coscritto poteva scegliere di prestare servizio attivo di otto anni, senza passare poi nella riserva. Era il Re a fissare il numero dei coscritti da chiamare alle armi ogni anno. Questo numero era proporzionalmente ripartito tra tutti i comuni del Regno, ad eccezione di quelli siciliani che erano esenti dalla leva. Erano di volta in volta assoggettati alla leva i giovani che in quell'anno erano compresi tra i 18 e i 25 anni. Ogni comune estraeva a sorte il numero di nomi previsto per quell'anno, inviando, poi, nel capoluogo di provincia i giovani prescelti che, superate le visite mediche del consiglio di leva, dovevano raggiungere la compagnia deposito del corpo a cui erano stati assegnati, dove venivano addestrati per circa sei mesi. Le reclute dovevano risultare di sana e robusta costituzione ed essere alte almeno cinque piedi (circa m. 1,62). Il giovane estratto poteva essere sostituito da un fratello o da un parente con le stesse qualità fisiche; poteva anche effettuare lo scambio con un altro giovane della stessa leva, però l'anno successivo sarebbe stato sottoposto nuovamente al sorteggio se entro i limiti di età. Infine era prevista l'esenzione mediante un cambio, da prendersi a pagamento tra i soldati in congedo o tra i giovani esenti dall'obbligo di leva. La cifra era, però, alla portata di pochi: 240 ducati, cioè circa sei milioni di lire nel 1995, da consegnare al sostituto. In ogni caso le popolazioni delle Due Sicilie si erano gradualmente abituate alla coscrizione, tanto che nel 1860 i renitenti alla leva erano un numero irrilevante.Esisteva anche l'arruolamento volontario con una ferma di otto anni per i sudditi delle Due Sicilie e di quattro per gli stranieri. I volontari usufruivano di un premio di ingaggio e, insieme ai coscritti, avevano la possibilità si raffermarsi per altri otto anni o, in alternativa, per quattro o per due.


I tre fratelli di Venosa
Faceva molto caldo in Lucania
nel Luglio ottocentosessantuno
e la gente si sentiva già tradita
da un'Italia non voluta e non capita
Quel fucile alzato al cielo e mai usato
non è pronto per Vittorio Emanuele
tre fratelli contadini di Venosa
si rifiutano di metter la divisa.
Con le foglie dell'autunno sulla strada
è difficile seguire i loro passi
già si è sparsa qua e là la loro fama
coi briganti hann firmato un proclama:
"Contadini rimasti sulla terra
non avrete proprio nulla da temere,
su nei boschi siamo tanti e bene armati
e i soprusi saranno vendicati"
Con il freddo dell'inverno nelle ossa
e la voglia del fuoco di un camino
i fratelli contadini sono stanchi
e camminano nel chiaro del mattino
Il ventuno di gennaio S.Agnese
i soldati hanno teso un'imboscata
li hanno uccisi a un chilometro da casa
li hann portati sulla piazza di Venosa




(*)Gli Stormy Six sono stati un gruppo musicale italiano, costituitosi a Milano nel 1966 e scioltosi nel 1983. Nel 1972 con una repentina virata nel mare delle tendenze musicali dell'epoca, viene approntato L'unità, concept album che rilegge in chiave storico-critica l'unità d'Italia e "I tre fratelli di Venosa" ne è uno dei brani dell'album.