«Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza» (Card. JOSEPH RATZINGER, Introduzione al Compendio, 2005).
Le immagini facilitano l’accesso, la comprensione e la trasmissione di contenuti a persone appartenenti a lingue, età e culture diverse: sono facilmente leggibili e, pertanto, rispetto alla parola e allo scritto, raggiungono un maggior numero di persone. Questo è stato l’elemento unificante che ha portato committenti e artisti di tutte le epoche a privilegiare l’aspetto iconografico nella trasmissione del sapere, compreso quello religioso, che nella sua funzione didattica ha arricchito di bellissime immagini le già splendide architetture delle chiese.
Su quali fondamenti si basano le immagini religiose?
Le immagini religiose hanno vari fondamenti complementari:
Fondamento antropologico:
In quanto essere unitario, e cioè costituito di corpo e anima, l’uomo si esprime attraverso segni, parole, gesti, simboli. Egli percepisce le stesse realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. Dante nel Paradiso (Canto 4, versi 42-46) afferma che l’intelletto non può afferrare la vera natura di Dio senza l’uso dei sensi.
In quanto essere unitario, e cioè costituito di corpo e anima, l’uomo si esprime attraverso segni, parole, gesti, simboli. Egli percepisce le stesse realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. Dante nel Paradiso (Canto 4, versi 42-46) afferma che l’intelletto non può afferrare la vera natura di Dio senza l’uso dei sensi.
«Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio» (CCC, 1146).
2) Per di più oggi viviamo in un mondo particolarmente attento alle immagini, le quali hanno un ruolo particolarmente rilevante nella vita della persona e della società. Non per nulla si parla di civiltà dell’immagine per indicare la società attuale, ed è il motivo per cui, oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra può “esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio del CCC).
1) Esiste una stretta relazione tra il mondo creato e Dio il suo creatore. Il mondo, nella visione cristiana, infatti è stato creato da Dio, che ha voluto così manifestare e comunicare la sua bontà, verità e bellezza. Pertanto Dio parla all’uomo attraverso la creazione visibile, la quale è un riflesso, sia pure limitato, dell’infinita perfezione di Dio. Il fine ultimo della creazione è che Dio, in Cristo, possa essere “tutto in tutti” (1Cor 15,28), per la sua gloria e per la nostra felicità» (Compendio, 53). «Ogni cosa deve la propria esistenza a Dio, dal quale riceve la propria bontà e perfezione, le proprie leggi e il proprio posto nell’universo» (Compendio, 62).
2) L’uomo è stato creato a immagine di Dio. L’uomo stesso è il simulacro di Dio. E dunque per conoscere Dio, l’uomo ha a disposizione se stesso: conoscendo maggiormente se stesso nel suo essere immagine di Dio e nel suo agire conformemente a tale immagine, conosce maggiormente Dio. E nello stesso tempo, è anche altrettanto vero che conoscendo Dio nel suo essere e nelle sue opere, l’uomo conosce maggiormente anche se stesso.
3) Dio si è reso visibile in Gesù Cristo. Essendo Egli il Figlio Unigenito di Dio, unito intimamente a Dio Padre - “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Egli ci fa conoscere in maniera piena, perfetta e definitiva Dio Padre: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9). Gesù Cristo è l’Immagine perfetta visibile del Dio invisibile.
“Un tempo, Dio, non avendo né corpo né figura, non poteva in alcun modo essere rappresentato da una immagine. Ma ora che si è fatto vedere nella carne e che ha vissuto con gli uomini, posso fare una immagine di ciò che ho visto di Dio” (San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus oratio, 1, 16: PTS 17, 89 e 92). Dunque l’Incarnazione di Cristo giustifica nel cristianesimo il realizzare, il possedere, il venerare le immagini religiose.
Gesù ha utilizzato segni e simboli umani per esprimere il divino?
Gesù, oltre che essere Egli stesso Colui nel quale si rende presente e visibile Dio, si serve spesso, nel suo predicare e operare qui sulla terra duemila anni fa, delle realtà provenienti dalla creazione per far conoscere, annunciare e comunicare i misteri del regno di Dio. Si pensi anche solo al significato simbolico delle sue parabole e dei suoi miracoli. Cristo inoltre ha utilizzato elementi e segni provenienti dal mondo per istituire i Sacramenti della Chiesa.
L’immagine umana è limitata rispetto al divino
Gesù, oltre che essere Egli stesso Colui nel quale si rende presente e visibile Dio, si serve spesso, nel suo predicare e operare qui sulla terra duemila anni fa, delle realtà provenienti dalla creazione per far conoscere, annunciare e comunicare i misteri del regno di Dio. Si pensi anche solo al significato simbolico delle sue parabole e dei suoi miracoli. Cristo inoltre ha utilizzato elementi e segni provenienti dal mondo per istituire i Sacramenti della Chiesa.
L’immagine umana è limitata rispetto al divino
Certamente occorre ricordare che qualunque immagine materiale non potrà mai esprimere pienamente l’ineffabile mistero di Dio: la realtà significata (religiosa, spirituale) supera sempre l’immagine umana. Tuttavia qualcosa di questo mistero l’elemento materiale lo fa realmente intuire e percepire.
E nello stesso tempo ci offre un anticipo della trasfigurazione che, alla fine di tutti i tempi, il mondo intero riceverà da Dio. Gli aspetti profani, nel momento in cui diventano veicolo di trasmissione di contenuti religiosi, vengono sì colti e rappresentati nei loro aspetti positivi; ma nello stesso tempo hanno bisogno di essere purificati, e soprattutto di essere arricchiti e completati. E ciò avviene con i contenuti cristiani, che le immagini contengono e trasmettono. In tal senso anche le mitologie e le favole popolari sono assunte, purificate e trasfigurate dalla Fede cristiana, per diventare immagini religiose.
Quale scopo hanno le immagini religiose, i santini?
1) facilitano l’accesso, la comprensione e la trasmissione di contenuti a persone appartenenti a lingue, età e culture diverse: sono facilmente leggibili e, pertanto, rispetto alla parola e allo scritto, raggiungono un maggior numero di persone.
2) Se viste, capite, interpretate, gustate con la visione particolare che proviene dalla Fede cristiana è possibile allora cogliere il particolare messaggio catechistico, che gli artisti hanno voluto trasmettere con le immagini religios
Poiché esiste una stretta correlazione tra l’immagine e il simbolo, e tra il mondo visibile e quello invisibile, diventa logico e giustificato l’annunciare il mistero di Dio servendosi di immagini simboliche. Si comprende così il fiorire, lungo i secoli, dell’iconografia cristiana, dove l’intento evangelizzante e catechistico s’accompagna, anzi s’intreccia strettamente con l’aspetto pittorico ed estetico.
Attraverso l’immagine si vuol trascrivere il messaggio evangelico, che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la Parola. “Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica” (Card. Joseph Ratzinger, Introduzione al Compendio del CCC).
Anzi la storia ci insegna che i cristiani, per annunciare il messaggio evangelico e catechizzare le persone, si sono serviti in una maniera speciale della cosiddetta Biblia pauperum, e cioè delle immagini, dei catechismi visivi, catechismi fatti di immagini e di rappresentazioni iconografiche, prima ancora dei catechismi scritti.
L’arte «parla» sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis. Mentre testimoniano la secolare e feconda tradizione dell’arte cristiana, sollecitano tutti, credenti e non, alla scoperta e alla contemplazione del fascino inesauribile del mistero della Redenzione, dando sempre nuovo impulso al vivace processo della sua inculturazione nel tempo” (Papa Benedetto XVI, Discorso di presentazione del Compendio alla Chiesa e al mondo, 28-6-05). Sono una forma particolare di catechesi popolare, libri aperti senza parole per tutti, un ponte tra il fedele e il mistero, mentre adornano, decorano gli spazi sacri, rendendolo più accoglienti e invitanti alla preghiera.
Nell’iconografia cristiana tutte le immagini hanno come finalità principale quella di annunciare la persona, il messaggio, l’opera di Cristo, essendo Lui il Rivelatore perfetto di Dio Padre e il Salvatore unico e definitivo dell’uomo e del mondo. “L’immagine di Cristo è l’icona per eccellenza. Le altre, che rappresentano la Madonna e i Santi, significano Cristo, che in loro è glorificato” (Compendio, n. 240), e, annunciando Cristo, aiutano a far nascere e crescere la fede e l’amore verso di Lui. Venerare i Santi significa riconoscere che Dio è la fonte, il centro e il culmine della loro santità: i Santi hanno accolto, con l’aiuto dello Spirito Santo, la santità di Dio nella fede e a tale santità divina hanno docilmente corrisposto con una vita santa, seguendo e imitando Cristo, l’immagine per eccellenza del Dio invisibile.
I santini della Pasqua sono in particolare collegati con l’evento principale della vita del Cristo, nonchè il pilastro fondamentale della nostra fede: la Sua Morte e Risurrezione. Ci aiutano quindi a comprendere meglio i vari e complementari momenti di tale evento, cogliendone il significato profondo salvifico, per noi e per l’intera umanità.
Chi veneriamo nell’immagine?
Il cristiano venera:
1) non l’immagine in se stessa, la quale è semplicemente un oggetto materiale (una statua, un’immagine, un simbolo, un amuleto): se si venerasse l’oggetto, si cadrebbe nell’idolatria;
2) ma colui che l’immagine intende rappresentare, la ‘Persona’ che le immagini riproducono: Gesù Cristo, la Madonna, i Santi. ( Il mio papà mi diceva: “avendo in casa una foto dei nostri cari defunti ne manteniamo il loro ricordo e il ricordo di ciò che hanno fatto di buono per noi; questo vuol dire che la foto li rappresenta” - Saggezza contadina).In effetti, “l’onore reso ad un’immagine appartiene a chi vi è rappresentato” e “chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto” (San Basilio Magno, Liber de Spiritu Sancto, 18, 45: SC 17bis, 406). L’onore tributato alle sacre immagini è una “venerazione rispettosa”, non un’adorazione che conviene solo a Dio: “Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in se stesse, ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si volge all’immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende alla realtà che essa rappresenta” (San Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 81, a. 3, ad 3).
Certamente. L’arte e l’iconografia cristiana, oltre che essere strumenti al servizio dell’evangelizzazione e della catechesi, sono sempre stati e lo sono tutt’ora anche un invito alla preghiera: “La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. È una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna apre il mio cuore a rendere gloria a Dio” (San Giovanni Damasceno, De sacris imaginibus oratio 1, 47). La contemplazione delle sacre immagini, unita all’ascolto della Parola di Dio, aiuta a imprimere nella memoria del cuore il mistero che viene percepito, sollecitando a trasformarlo in preghiera e a testimoniarlo in quella novità di vita, che proviene dalla Fede cristiana e che ha il suo centro in Cristo.
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