Benvenuti nel mio mondo fatto di fantasia, creatività, libero pensiero, nel rispetto di tutto e di tutti......divido con voi le mie esperienze, le mie sensazioni e i miei pensieri ......piu' profondi!

Non so se riuscirò o mi sarà concesso di chiudere "il cerchio", "disegnandolo sulla grande tela della vita". So di per certo però, che qualunque cosa accadrà nel mio percorso di vita futura, le parole, i pensieri, i racconti e le riflessioni, qui riposti, rimarranno, spero, come spunto e stimolo di riflessione per chiunque li leggerà.

domenica 20 aprile 2025

Pare che ieri mattina, poco dopo le 11:30, quel simpaticone di J.D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti d'America, abbia incontrato in Vaticano Papa Francesco a Santa Marta.
L'incontro, durato alcuni minuti, ha dato modo di scambiarsi gli auguri nel giorno di Pasqua.
Il vicepresidente Usa ieri ha incontrato il Segretario di Stato Vaticano Parolin: al centro del colloquio i conflitti e le politiche migratorie.





Il diavolo e l'acqua santa

Ecco come vanno trattati i bulli di Stato.

Si era presentato in Vaticano tutto baldanzoso pregustando già un incontro con il Papa con tanto di passerella e selfie di circostanza.

Solo che al vice Presidente americano JD Vance è andata malissimo.

Papa Francesco ha detto no. 
Non lo ha voluto ricevere né pubblicamente né privatamente, delegando l’accoglienza al segretario di Stato Parolin. 

Il motivo è semplice. E no, non sono le condizioni di salute del Papa (che infatti pochi giorni fa ha incontrato Carlo e Camilla) ma la distanza abissale e mai nascosta di Papa Francesco nei confronti delle politiche discriminatorie di Vance e Trump nei confronti dei migranti e delle dichiarazioni suprematiste del vicepresidente sulla “gerarchia della carità” che il Papa aveva già smontato su tutta la linea.

La verità è che Papa Francesco si dimostra un gigante non solo per quello che dice ma anche per la sua assenza.

Che, in questo caso, vale più di qualsiasi parola.

I bulli di Stato si trattano così.


L'arroganza dell'ipocrisia

Quella bellissima personcina di Vance, vicepresidente degli Stati Uniti deve accontentarsi di Parolin. 
Bergoglio, che pure si presenta in basilica, resta a distanza.
La visita Oltretevere di James D. Vance si è fermata nelle stanze della Segreteria di Stato vaticana. 
Papa Francesco, infatti, non ha voluto incontrare il vicepresidente statunitense, che si è dovuto accontentare di essere ricevuto in udienza dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e dal “ministro degli esteri” della Santa sede, monsignor Paul Gallagher.

L’incontro con Bergoglio non era annunciato, anche perché il papa è ancora in convalescenza dopo il lungo ricovero al policlinico Gemelli, quindi apparentemente nessuna sorpresa. Tuttavia dieci giorni fa il pontefice ha ricevuto i sovrani inglesi Carlo e Camilla, in visita a Roma. 
Mercoledì ha incontrato in Vaticano dirigenti e sanitari del Gemelli. 
E giovedì pomeriggio ha anche lasciato per qualche ora il Vaticano per andare nel vicino carcere di Regina Coeli, dove ha salutato una settantina di detenuti.

La decisione di non concedere nemmeno una breve udienza al vicepresidente Usa sembra allora una scelta ponderata per marcare le distanze con l’amministrazione Trump, piuttosto che dettata dalla cautela per le condizioni di salute. 
Tanto più che ieri pomeriggio – poco dopo che Vance aveva lasciato il Vaticano e si trovava al giardino botanico dove uno dei figli è stato avvistato mascherato da gladiatore romano – Bergoglio si è fatto accompagnare con la sedia a rotelle in basilica per pregare e salutare alcuni fedeli. 
E questa mattina potrebbe scendere in piazza e affacciarsi dalla loggia di San Pietro per la benedizione Urbi et orbi al termine della messa di Pasqua (e chissà che non appaia di nuovo Vance per strappare almeno un saluto e una fotografia).
Le divergenze fra Santa sede e Usa emergono con evidenza anche nelle poche righe del comunicato della sala stampa vaticana al termine del «cordiale colloquio» fra il vice di Trump e Parolin. «È stato espresso compiacimento – si legge – per le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa sede e gli Stati Uniti d’America, ed è stato rinnovato il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza». 
Fin qui tutto bene. 
Dopodiché si capisce che fra Washington e Città del Vaticano non c’è sintonia su una serie di altre questioni: 
«Vi è stato uno scambio di opinioni (che quindi sono diverse) sulla situazione internazionale, specialmente sui Paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e da difficili situazioni umanitarie, con particolare attenzione ai migranti, ai rifugiati, ai prigionieri, e sono stati trattati anche altri temi di comune interesse. Infine, si è auspicata una serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, di cui è stato riconosciuto il prezioso servizio alle persone più vulnerabili».

Quello dei migranti è il tema più spinoso, attorno al quale si sono registrate tensioni non solo con Roma ma anche con diversi esponenti dell’episcopato statunitense – a cominciare dal neoarcivescovo di Washington Robert McElroy – che non è più il blocco monolitico repubblicano di qualche anno fa. 
Tre giorni prima di essere ricoverato al Gemelli, infatti, Bergoglio ha indirizzato una lettera ai vescovi Usa per denunciare il «programma di deportazioni di massa» («program of mass deportations») annunciato da Trump, invitando di fatto alla disobbedienza contro provvedimenti che «discriminano e causano inutili sofferenze ai nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati».

La Conferenza episcopale Usa, poi, ha intentato una causa contro l’amministrazione Trump per l’illegittima sospensione dei finanziamenti al suo programma di accoglienza dei rifugiati. Dopo che già erano stati tagliati i fondi UsAid per la cooperazione internazionale allo sviluppo, e i vescovi che protestavano erano stati accusati dallo stesso Vance di essere spinti da interessi economici e non da ragioni umanitarie.

Poi c’è la guerra. 
Da una parte Trump che aumenta gli investimenti militari e chiede ai partner europei di fare altrettanto, dall’altra il papa che propone come segno giubilare la riduzione delle spese per le armi e la costituzione di un fondo mondiale contro la fame nel mondo e che ancora nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo di venerdì scorso parla di «mondo a pezzi» e di conflitti di cui «non si vede la fine».

«È chiaro che l’approccio dell’attuale amministrazione Usa è molto diverso da quello a cui siamo abituati», ha detto venerdì Parolin in un’intervista alla Repubblica rilanciata dai media vaticani. 
«La Santa sede si sforza sempre di mettere la persona umana al centro e sono tante le persone vulnerabili che soffrono enormemente, ad esempio, a causa dei tagli agli aiuti umanitari».
Insomma due mondi – la base ultratrumpiana e Maga associa Bergoglio all’ideologia woke – che in questi giorni il cattolico neoconvertito Vance ha cercato mediaticamente di ricongiungere, facendosi vedere in prima fila con moglie e figli nella basilica di San Pietro per la celebrazione del venerdì santo e sperando di incontrare il papa. 
Finora l’operazione sembra fallita.
I bulli di Stato si trattano così.





Mani giunte e cuore di pietra.

L'ipocrisia al potere.
Nonostante le mani giunte e lo sguardo profondo mentre prega inginocchiato a San Pietro per il Venerdì Santo, Vance porta con sé l'odore della carne bruciata dei bambini palestinesi che sta contribuendo a uccidere. 

Quest'uomo è un insulto per tutti coloro che vivono quotidianamente i valori cattolici che no, non prevedono che sia legittimo un genocidio. 

Unicef ha dichiarato che in un mese sono stati massacrati 600 bambini palestinesi. 600 bambini. Immaginate 600 bambini che, anziché andare a scuola, giocare, fare i capricci per un gioco in più, sono fatti saltare in aria dalle bombe israeliane e da questo signore qui che, insieme al suo capo, vuole liberare Gaza dai suoi abitanti per farci una riviera. 

Immaginate 600 bambini, maschietti e femminucce, che camminano con la manina stretta nella mano della mamma o di papà che vengono spappolati da Netanyahu e da questo signore qui che ha la faccia tosta pure di pregare. 

600 bambini in un mese, migliaia in poco più di tre anni, non ci sono più per la sete di potere prima di Biden e poi di Trump e di questo soggetto in foto che abbiamo accolto con tutti gli onori. 

Sono disgustato e preoccupatissimo perché è con questa gente qui che Meloni vuole fare di nuovo grande l'Occidente.

mercoledì 16 aprile 2025

"Un borghese piccolo piccolo"

All’apparenza è la storia semplice di un uomo qualunque. Giovanni Vivaldi, impiegato ministeriale prossimo alla pensione, ha un solo desiderio: sistemare il figlio con un posto fisso. 
Una piccola ambizione, un sogno modesto, ma profondamente umano. 
Quando la realtà si frappone con una violenza improvvisa e insensata, la vita di Giovanni prende una piega inaspettata. 
Da quel momento, tutto cambia. 
E lo spettatore cambia con lui.
"Un borghese piccolo piccolo" è uno di quei film che partono in sordina, quasi con tenerezza, per poi scavare sotto la pelle e lasciarti senza parole. 
La regia asciutta e precisa di Mario Monicelli non cerca mai l’effetto facile, ma incide con una lama sottile. 
È un film che non alza mai la voce, eppure grida forte. 
La Roma grigia, i corridoi polverosi degli uffici, i dialoghi sottotono, tutto contribuisce a costruire un mondo dove la mediocrità non è insulto, ma condizione esistenziale.
E al centro c’è lui: Alberto Sordi. 
Un’interpretazione magistrale, complessa, mai caricaturale. 
Sordi qui è lontanissimo dalla maschera comica che lo ha reso celebre. 
Giovanni Vivaldi è un uomo piccolo, ma non ridicolo. 
È fragile, sincero, ottuso e spaventosamente credibile. 
Quando il dolore lo travolge, non esplode: si chiude. 
Ma in quel silenzio cresce qualcosa di spaventoso, qualcosa che Monicelli racconta con una freddezza chirurgica, lasciandoci a riflettere su cosa sia davvero la giustizia. 
E su cosa resti di un uomo quando il senso gli viene strappato via.
Il film riesce a essere contemporaneamente una critica sociale, un dramma psicologico e una riflessione amara sull’Italia degli anni ’70 – che però sembra ancora, inquietantemente, attuale. 
Niente moralismi, niente sconti: solo un racconto onesto, crudele, potentissimo. 
Il film non dà risposte, non indica eroi. 
Mostra semplicemente un uomo schiacciato da un sistema indifferente, che si aggrappa a ciò che può, fino a smarrire se stesso. 
È una riflessione sull’impotenza, sulla rabbia repressa, sulla vendetta e sul vuoto morale. 
Un’opera che colpisce con la forza delle cose vere, dette sottovoce.
Da vedere. 
E da metabolizzare lentamente.
L'ho visto e mi ha fatto male, non voglio puù vederlo.
soffrò troppo.
No riesco a metabolizzarlo.





lunedì 31 marzo 2025

venerdì 28 marzo 2025